Presentazione del libro “La rete è libera e democratica. Falso!” e discussione con Ippolita

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Mercoledì 22 ottobre, dalle ore 21, presentazione del libro e discussione col Collettivo Ippolita

Di seguito la recensione a cura di CortocircuitO:

La prima volta che ci siamo accorti che le nostre ricerche passate su Google, così come i nostri nomi utente e le nostre password, venivano memorizzate dal browser, ci è sembrata una trovata estremamente utile di Chrome o di Firefox. Quando accanto agli articoli che leggevamo online sono iniziate ad apparire pubblicità molto collegate alle nostre navigazioni precedenti, siamo forse rimasti leggermente perplessi. Nel momento in cui tali pubblicità sono arrivate al nostro indirizzo e-mail, finalmente ci siamo resi conto che qualcosa non andava.

Ma abbiamo probabilmente continuato a pensare a Google, insieme a tutte le sue declinazioni, a Facebook, a Twitter, come a strumenti bellissimi che ci permettevano di stare sempre in contatto con il mondo intero, di conoscere cosa facevano i nostri (non tanto e non solo) amici, di esercitare democrazia firmando petizioni o compilando questionari. E di più: tutto questo gratuitamente.

Nell’ultimo libro di Ippolita, La rete è libera e democratica. Falso!, si parla di questo e di molto altro. Ippolita è un gruppo di ricerca attivo dal 2005 che si occupa di questioni legate all’effetto dell’informatica e della tecnologia sulla nostra vita.

La quarta di copertina recita “Crediamo in una Rete libera, democratica, gratuita, trasparente, imparziale. Crediamo in una rete rivoluzionaria […]. Crediamo nella circolazione gratuita di contenuti […]. Ci crediamo, ma niente di tutto questo è vero.”. Nel testo si analizza appunto come la retorica imperante di una Rete che proprio per la sua gratuità e “apertura” risulti creatrice di democrazia non sia altro che una costruzione voluta da quelli che Ippolita chiama i nuovi padroni digitali, e avallata anche da quanti ritengono che basti un click per cambiare qualcosa. Ed uno dei maggiori problemi è che questa retorica, seppur inconsapevolmente, l’abbiamo assimilata. Ci sembra meraviglioso che tutto possa stare nella Cloud, in questo mondo etereo grazie al quale non bisogna più preoccuparsi di salvare i nostri dati, di trovare un posto dove conservare i ricordi, perché tutto è ovunque in qualunque momento.

Ma al di là di un giudizio di merito su questa possibilità di avere sempre tutto subito, aspetto che in questo saggio non viene trattato e che probabilmente meriterebbe in altra sede delle riflessioni, nel corso del libro si tiene fede a quanto promesso nel titolo.

Per quanto riguarda il legame di Rete e democrazia, ci sono almeno due aspetti che vengono analizzati. Il primo è la presunta democraticità insita alla Rete, fantasma duro a morire nel pensiero dominante. L’esempio più analizzato è quello di Google. La ricerca di uno o più termini che ha come esito dei risultati ordinati per “importanza” da un algoritmo (il celebre PageRank) nasconde bene i suoi limiti, tanto da apparire qualcosa di completamente imparziale e quindi democratico. Per chi non lo sapesse, il principio che sta alla base dell’algoritmo che deve il suo nome a uno dei fondatori di Google, Larry Page, è che una pagina è importante se è citata da tante pagine importanti (cioè se ci sono tante pagine importanti che contengono dei link ad essa). Ma è facile capire che la democraticità (ed anche l’utilità) di un tale meccanismo è fortemente legata a un idea di internet come un enorme sfera convessa nella quale due punti sono collegati da una linea diretta su cui corrono le informazioni comuni. Tuttavia più le conoscenze di cui necessitiamo diventano profonde, più ci rendiamo conto che moltissime sono le strade interessanti che hanno pochi ingressi e poche uscite e che internet è più simile a una figura fortemente irregolare piena di ramificazioni anguste.

In secondo luogo, nell’ottica dei movimenti 2.0, la rete è democratica perché genera democrazia: quasi tutte le persone ormai hanno accesso a internet e possono esprimersi su ogni problema della società che venga loro proposto. Farlo non costa neanche troppo sforzo: basta un click. E allora esplodono le petizioni online, i sondaggi alla Beppe Grillo, gli eloquenti cinguettii di Twitter. Tuttavia l’idea che con una firma digitale su change.org o peggio con un “mi piace” su facebook possiamo adempiere ai nostri doveri sociali è palesemente falsa e dannosa, nonché ridicola.

C’è di più nell’analisi di Ippolita. Non è solo la democrazia digitale a dimostrare presto la sua fallacia, ma anche, sempre partendo dal titolo, la libertà e la gratuità di internet. Tutti si saranno chiesti: come possono Google, Facebook ecc. garantirci una così vasta scelta di servizi se noi non gli diamo neanche un euro? Basta sfogliare i terms of service di alcuni di questi giganti per immaginarsi come può funzionare tutto.

Google, Facebook e gli altri campano di pubblicità e per questa pubblicità noi siamo preziosi: i nostri account con tutte le informazioni che contengono sui nostri gusti e sulle nostre attività quotidiane .Tutte le nostre azioni (un “mi piace”, l’ingresso in qualche gruppo, o più semplicemente il visitare un sito internet) vanno a ingigantire le memorie dei Big Data. Soltanto per fare un esempio, sulla pagina https://www.facebook.com/legal/terms, articolo 10 comma 1 si legge

Gli utenti forniscono a Facebook l’autorizzazione a utilizzare il loro nome, l’immagine del profilo, i contenuti e le informazioni in relazione a contenuti commerciali, sponsorizzati o correlati (ad esempio i marchi preferiti) pubblicati o supportati da Facebook. Tale affermazione implica, ad esempio, che l’utente consenta a un’azienda o a un’altra entità di offrire un compenso in denaro a Facebook per mostrare il nome e/o l’immagine del profilo di Facebook dell’utente con i suoi contenuti o informazioni senza il ricevimento di nessuna compensazione.”

Non c’è bisogno di alcun commento, è la pratica del profiling: “I servizi che utilizziamo li paghiamo con qualcosa di più prezioso del denaro: le nostre informazioni personali e quelle dei nostri amici” recita Ippolita.

E quindi non ci stupiamo quando scopriamo che la Cina sta elaborando sistemi di polizia hi-tech con tanto di casella e-mail e social network governativi, perché è soltanto la versione “non democratica” di ciò che viviamo e a cui diamo tutti i giorni il nostro consenso, utilizzando Gmail, Google+, Twitter e Facebook. Questi mezzi ci sono utili per tenersi in contatto, e persino organizzare assemblee, iniziative, lotte, ma hanno tutti gli effetti collaterali di cui si è parlato ed altri ancora, non ultimi quelli ambientali: l’informatica e i dati sono tutt’altro che eterei e ecosostenibili; occupano tutti uno spazio materiale all’interno di enormi data center per mantenere i quali è necessaria una quantità inimmaginabile di energia.

Dunque buona navigazione, e che la Vita 2.0 sia con voi.

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