La pandemia da corona virus fa emergere in superficie tutto il marcio che la nostra classe politica e dirigente ha prima creato e poi tentato di normalizzare.
In una simile situazione di emergenza il frutto di anni di politiche cancerogene ci ricordano le conseguenze dei tagli al welfare, del progressivo smantellamento della sanità pubblica, dello scempio del diritto al lavoro e della legalizzazione di forme di precariato e sfruttamento, nonché del totale fallimento del sistema carcerario.
La Sanità Pubblica rischia il collasso
In 10 anni sono stati tagliati 37 miliardi alla sanità pubblica (25 miliardi tra 2010-2015 e 12 miliardi tra 2015-2019), persi 70 mila posti letto e chiusi 559 reparti.
Decenni di tagli alla spesa sociale non garantiscono la tenuta del servizio sanitario sempre più esternalizzato, appaltato e incapace di garantire i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici impiegate a salvaguardare un servizio essenziale per la collettività.
Questo in un paese in cui la spesa bellica continua a sottrarre miliardi alle politiche sociali (solo nel 2018 circa 24,9 miliardi di euro)
Lavoro e quarantena
In questi giorni di epidemia di Covid 19 il costo sociale legato alle ordinanze sta colpendo i lavoratori e le lavoratrici legati a varie tipologie di lavoro subordinato e precario e, in particolar modo, i lavoratori e le lavoratrici delle cooperative in appalto, i lavoratori del turismo e della ristorazione, i lavoratori intermittenti del mondo dello spettacolo, i riders, gli educatori e le educatrici, le partite IVA, i lavoratori delle piccole imprese, della sanità e della scuola.
Il diritto alla salute e alla continuità di reddito non possono essere merci barattabili e sacrificabili sull’altare dell’ennesima crisi. Si deve pretendere dal governo regionale e nazionale la costruzione immediata di ammortizzatori sociali per sostenere lavoratori e lavoratrici, un fondo per un Reddito di “Quarantena” che garantisca continuità salariale a chi è costretto allo stop dell’attività rivolto ai lavoratori e alle lavoratrici in partita Iva e, in generale, a tutte le categorie prive di tutela, nonché l’istituzione di un reddito senza vincoli per supportare chi era legato a lavori saltuari o a nero.
Le Carceri in rivolta.
Tra i detenuti si cominciano a intuire gli enormi rischi che un possibile contagio comporterebbe in una situazione di sovraffollamento e in un contesto insalubre e scarsamente igienizzato come quello delle prigioni italiane.
Da ieri mattina sono 27 le carceri dove si stanno svolgendo proteste da parte dei detenuti, alcuni dei quali chiedono l’amnistia a causa dell’emergenza Coronavirus ,si protesta contro la cancellazione dei colloqui, si mescola il piano emergenziale con quello strutturale. E’ di nove detenuti morti il nuovo bilancio ufficiale diffuso dopo le rivolte di questi giorni: sette di questi sono deceduti nel carcere di Modena durante la rivolta di domenica 8 marzo, uno a Verona e uno ad Alessandria.
Appare chiaro che allo stato attuale, con una popolazione carceraria abbondantemente superiore alla capienza prevista ( più di 60.000 a fronte di 50.000 posti letto ufficialmente disponibili), non ci sarebbe la possibilità di affrontare con misure di sicurezza adeguate l’eventualità non remota di un contagio tra i detenuti.
Amnistia e indulto sono battaglie fondamentali da un punto di vista strutturale, ma al momento purtroppo restano un obiettivo difficile da raggiungere, alla luce delle condizioni politiche generali. Che per la classe politica e l’opinione pubblica il carcere sia una discarica sociale non è una novità. É quindi indispensabile aprire una battaglia, all’interno ma anche all’esterno delle carceri sulle modalità di esecuzione della pena (estendere la semilibertà e allargare i parametri per la detenzione domiciliare per esempio, come si discute in questa fase, per tutti i detenuti con una pena residua inferiore a tre anni), perché il Dap imposti misure immediate e straordinarie di sanificazione, che intervenga per igienizzare reparti , padiglioni e celle; perché vengano predisposte misure di prevenzione che possano permettere la ripresa dei colloqui e lo svolgimento delle attività di risocializzazione in un regime di sicurezza, considerando la difficoltà di prevedere la durata dell’emergenza Coronavirus.
Intanto, il pericolo immediato è quello della gestione delle proteste. Le morti di Modena ci danno indizio di una preoccupante escalation repressiva . Allo stesso modo in queste ore l’incremento nella diffusione del virus presenta il conto alle fasce più deboli della popolazione. Se i più fragili da un punto di vista clinico sono gli anziani e le persone con patologie pregresse, socialmente a pagare di più sono i lavoratori precari, i non garantiti da tutele contrattuali e chi ha necessità assoluta di lavorare, e magari il problema della gestione familiare o dei figli che rimangono a casa a scuole chiuse. Allo stesso modo la sofferenza dei detenuti mette in risalto un paradosso: la permeabilità di quelle istituzioni totali che invece mostrano nell’isolamento la propria ragion d’essere, e tutte le criticità di gestione, ormai non più occultabili nell’ordinario, figuriamoci durante un’emergenza come questa.
La crisi del Coronavirus può e deve essere un modo per aprire gli occhi e ripensare il sistema.
PS: Tutte le iniziative pubbliche nell’occupazione Via del Leone sono temporaneamente sospese , per preservare la salute della collettività.