[2/4/20] Il sistema sanitario pubblico: un corpo già malato

Il quadro ci viene presentato come emergenziale e dovuto a un’eccezionale pandemia.

Sicuramente la situazione è eccezionale, ma insiste su un corpo già provato da decenni di maltrattamenti e scelte che ne hanno ridotto la capacita’ di resistere. Come ben sappiamo, un’influenza contratta da un corpo sano non ha gli stessi effetti che su un corpo già malato ed indebolito. E il nostro Sistema Sanitario pubblico, sano non lo era di certo. Da giorni si parla infatti, nel caso in cui i contagi non vengano fermati, di collasso del SSN (Sistema Sanitario Nazionale): non ci sono medici ed infermieri sufficienti per fronteggiare l’emergenza, non sono abbastanza i posti letto e le attrezzature in reparti come la terapia intensiva, mancano sufficienti scorte di dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e non che quotidianamente attraversa le strutture sanitarie.

Ma cosa è successo in questi anni per indebolire il nostro Sistema Sanitario al punto da portarlo a rischio collasso? 

Per scoprirlo dobbiamo tornare al 1978, anno che rappresenta una sorta di spartiacque della storia (non solo in campo sanitario), dividendo un «prima», nel quale si registrava l’espansione del welfare universalistico – tratto comune dei governi liberaldemocratici e socialdemocratici europei – affermando il principio secondo cui alcuni servizi fondamentali, come l’istruzione e la sanità, dovessero essere sottratti ai meccanismi di mercato e quindi essere garantiti dallo Stato, e un «dopo».

Il «dopo» prende le mosse agli inizi degli anni ottanta, con l’elezione di alcuni leader ultra-conservatori – Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979) e Ronald Reagan negli Stati Uniti (1980) – e con l’affermarsi del neoliberismo. Le politiche neoliberiste si applicano anche alla sanità, che diventa terreno di conquista del mercato a livello globale, come si legge in un articolo di The Lancet del 2001: “Negli ultimi due decenni la spinta verso riforme dei sistemi sanitari basate sul mercato si è diffusa in tutto il mondo, da Nord verso Sud, dall’Occidente all’Oriente. Il «modello globale» di sistema sanitario è stato sostenuto dalla Banca mondiale per promuovere la privatizzazione dei servizi e aumentare il finanziamento privato attraverso il pagamento diretto delle prestazioni. […] Questi tentativi di minare alla base i servizi pubblici, da una parte, rappresentano una chiara minaccia all’equità nei paesi con solidi sistemi di welfare in Europa e in Canada, dall’altra costituiscono un pericolo imminente per i fragili sistemi dei paesi con medio e basso reddito

Troppi erano, già allora, gli indizi per non capire quale era la direzione che si voleva far prendere alla sanità italiana: quella del privato e delle assicurazioni. Del resto il messaggio contenuto nella lettera di Trichet e Draghi indirizzata al governo italiano nell’agosto 2011 era inequivocabile: riforme radicali per privatizzare su larga scala servizi e professioni. Quando l’assessore alla sanità della Toscana, senza ombra di rammarico o scusa, afferma “Già oggi tanti si rivolgono a Misericordie e Pubbliche Assistenze per visite e esami (a pagamento ndr) visto che il pubblico espelle dal suo circuito un numero enorme di persone non garantendo la tempestività delle prestazioni”, (La Repubblica, 3 ottobre 2015), il governatore Rossi può dirsi pienamente soddisfatto: missione compiuta. Sono stati adottati provvedimenti che hanno spinto le persone a rivolgersi ai servizi a pagamento anziché ai servizi pubblici, producendo così diseguaglianze, sfiducia, malumore, rabbia.

Negli ultimi 10 anni sono stati soppressi 70 mila posti letto, 759 reparti ospedalieri e molti piccoli ospedali sono stati chiusi (dati Cergas, università Bocconi di Milano). Nello stesso lasso di tempo si registra un taglio di fondi pari a 37 miliardi di euro. In italia ci sono 3.2 posti letto per mille abitanti, contro gli 8 della Germania ed i 6 della Francia. Per la Sanità Pubblica spendiamo 119 miliardi l’anno, il 20% in meno della Francia e il 45% in meno del Regno Unito. Mentre scendeva la spesa pubblica, aumentava quella dei cittadini, che nel 2009 coprivano il 21% del totale e nel 2017 arrivavano a quasi un quarto, il 23,5%: il 46% in più rispetto alla media europea del 16%.

Quasi dovunque le assunzioni sono bloccate di fronte ad una mancanza di circa 56.000 medici e 50.000 infermieri, riportata dalle Regioni. Dal 2009 al 2017 il Ssn ha perso oltre 46 mila unità di personale dipendente (- 6,7%). La riduzione ha interessato i medici (meno 8 mila unità), la cui età media è oggi tale da far prevedere un collocamento in pensione di 2 medici specialistici e 9 medici di famiglia al giorno nei prossimi anni, con ridotte possibilità di ricambio per carenza di laureati e, in particolare, di specializzati. A questo depauperamento ha contribuito non poco l’introduzione del numero chiuso nelle Università e nelle scuole di specializzazione. La contrazione del personale ha riguardato anche gli infermieri (meno 13 mila unità), nonostante la loro presenza sia già molto inferiore al resto d’Europa, in rapporto alla popolazione (5,6 infermieri ogni 1000 abitanti, contro 12,9 della Germania e 10,2 della Francia) e rispetto ai medici (1,4 infermieri ogni medico, contro circa 3 di Francia e Germania). La mancanza di una seria politica del personale sta mettendo in ginocchio l’intero sistema sanitario.

Oggi quasi una famiglia su due rinuncia alle cure a causa delle lunghe liste di attesa nella sanità pubblica e dei costi proibitivi in quella privata. Nel 41,7% dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto fare a meno di una prestazione sanitaria. I cittadini inoltre pagano di tasca propria oltre 500 euro procapite all’anno, mentre nell’ultimo anno al 32,6% degli italiani è capitato di pagare prestazioni sanitarie in nero”. (ricerca del Censis).

Le tappe legislative fondamentali che, con le successive riforme, seguono questo percorso pluridecennale sono quattro. La prima è la già citata legge 833, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e la creazione delle Unità Sanitarie Locali. Il secondo è il D.Lgs. n. 502/1992 che avvia la regionalizzazione della Sanità, istituisce le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere e, per rispondere alla crescente pressione finanziaria, introduce «una concezione di assistenza pubblica in cui la spesa sociale e sanitaria deve essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate e non può più rapportarsi unicamente alla entità dei bisogni». Il terzo passaggio è il Decreto Legislativo n. 229/1999 (anche noto come riforma Ter) che conferma e rafforza l’evoluzione in senso aziendale e regionalizzato e istituisce i fondi integrativi sanitari per le prestazioni che superano i livelli di assistenza garantiti dal SSN. Infine, con la riforma del Titolo V, Legge Costituzionale n. 3/2001, la tutela della salute diviene materia di legislazione concorrente Stato-Regioni: lo Stato determina i Livelli essenziali di assistenza (LEA); Le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione dei servizi sanitari nel finanziamento delle Aziende Sanitarie.

Il Ssn non può essere ridotto a una fabbrica di prestazioni. Il Ssn deve tutelare e promuovere la salute delle persone e attrezzarsi per affrontare adeguatamente l’epidemia delle malattie croniche (e della sub-epidemia della multimorbosità). “Nonostante si viva in un mondo dominato dalle patologie croniche, nei luoghi di cura si pratica una medicina quasi esclusivamente per acuti: all’alba del XXI secolo persistono i modelli del XIX secolo”, scrivono R. Rozzini e M. Trabucchi. È necessario per questo un profondo cambiamento.

Un cambio di paradigma basato sulla sanità d’iniziativa: prevenzione e lotta alle diseguaglianze socio-economiche (di malattie croniche si ammalano e ne muoiono molto di più le fasce più disagiate della popolazione), supporto all’auto-cura, presa in carico a lungo termine dei pazienti da parte di team multiprofessionali e multidisciplinari composti da medici di famiglia, infermieri e specialisti, continuità delle cure e più tempo dedicato alla relazione tra professionisti e pazienti, integrazione socio-sanitaria. Il cambio di paradigma richiede un forte rilancio delle cure primarie e dei servizi territoriali.

È il momento di pretendere un Sistema Sanitario che metta nuovamente al centro l’individuo e la salute pubblica, che non si occupi solo dell’acuto ma dello stato di salute inteso come fisico, psichico, sociale ed economico. È il momento per ridisegnare la nostra società in senso comunitario, solidale e mutualistico, dove la salute sia al centro delle scelte politiche per lo sviluppo economico, cosa che fin ora non è mai stata fatta preferendo portare avanti scelte dettate solamente da interessi e profitto. Inquinamento atmosferico, luminoso ed acustico in cambio di urbanizzazione selvaggia o, come nel caso dell’aeroporto della Piana o del TAV, di costruzione di grandi opere inutili; allevamenti intensivi dove l’uso massiccio di antibiotici e la cattiva qualità del mangime sono all’ordine del giorno; industrie e raffinerie che rilasciano tossine nell’acqua o nell’aria appestando le zone limitrofe, come nel caso ormai tristemente noto dell’Ilva di taranto. È il momento di pretendere un Sistema Sanitario incisivo nel denunciare che questo modello economico ci sta rendendo più fragili e più malati.

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[1/4/2020] In solidarietà alle persone detenute

I giornali qualche settimana fa hanno riportato notizie sulle rivolte scoppiate nelle carceri a causa dell’emergenza coronavirus. La goccia che ha fatto traboccare il vaso della già precaria e inaccettabile situazione dei detenuti e delle detenute in Italia sono state le restrizioni per l’epidemia. I detenuti, infatti, sono costretti in celle sovraffolate e scarsissime condizioni igieniche e l’accesso alle cure mediche è difficile persino per un mal di denti. Per contenere il virus, però, non si sceglie di finanziare la sanità in carcere, ma di bloccare le visite e i colloqui. Così, i detenuti potevano avere contatto con le famiglie e i cari solo attraverso chiamate a pagamento.
Dopo le rivolte, la situazione non è cambiata. E’ stata approvata una regolarizzazione che prevede che chi ha pene minori possa essere trasferito ai domiciari, ma sono molti pochi che possono realmente farlo. I detenuti rivoltosi sono stati trasferiti, senza far sapere niente alle famiglie e senza la possibilità di prendere vestiti e effetti personali. Ci sono stati pestaggi a interi reparti, anche contro coloro che non avevano partecipato alla rivolta.
Oggi abbiamo speso queste parole in solidarietà ai detenuti e alle detenute di tutta Italia.
Guarda il video!
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[1/4/2020] Il Gigante coi Piedi d’Argilla, L’economia turistica vista dalla quarantena

Testo condiviso come R/Esistenze (https://resistenzefirenze.noblogs.org)

La pandemia che sta affliggendo il nostro pianeta è un’esperienza nuova per tutti e tutte. Un’esperienza anomala che ha trasformato la nostra quotidianità e ci obbligherà a chiederci come vogliamo riprendere la nostra normalità, sempre se saremo stati abbastanza fortunati. Al netto dell’altalena spettacolarizzante dei media tradizionali che titolano oggi <<ALLARME GLOBALE>> e domani <<tranquilli ce la faremo>>, due elementi sembrano in crisi:

1 – la tendenza geneticamente innata dell’uomo di incontrarsi, avere relazioni fisiche, fare comunità

2 – il sistema economico capitalista dominante, che al momento non sembra aver trovato le contromisure al virus (cosa che invece fece nel corso della crisi del 2007). Al momento, tutte le manifestazioni del capitalismo (industrializzazione, finanza, globalizzazione, turistificazione) stanno mostrando evidenti segnali di inadeguatezza all’attuale momento storico.

Oggi le principali manifestazioni del capitale come la massificazione della produzione industriale, del turismo e la polarizzazione della ricchezza stanno mostrando le loro contraddizioni. A Firenze sono proprio i segnali di recessione dell’industria del turismo che spaventano immobiliaristi e investitori, mentre i cittadini sono sempre più spaventati dalle condizioni inumane del lavoro – dove lo stato si conferma sempre più chiaramente come difensore dei padroni – e dalla totale assenza dei diritti basilari che emergono con violenza dalla cronaca odierna.

Dopo decenni di martellanti messaggi massmediatici ci avevano quasi convinti che il turismo sarebbe stato il solo volano dell’economia toscana. La pesante promozione delle mete turistiche, la deregolamentazione edilizia, il proliferare delle piattaforme per affitti brevi – che promettevano di redistribuirne i profitti mentre, di fatto, scaricavano sui piccoli proprietari i costi d’attivazione di un’economia infestante – e i forti investimenti attuati da regione e comuni nella progettazione di inceneritori ed aeroporti hanno determinato un tasso di crescita del flusso turistico del 54,2% dal 2010 al 2018.

È stato così che interi quartieri di Firenze si sono svuotati – adesso il centro storico ospita solamente 66.206 residenti – delle attività che storicamente li riempivano, sostituendo i servizi di vicinato con bistrò, storiche botteghe e antiche pelletterie; i prezzi dell’affitto dei negozi sono saliti anno dopo anno, raggiungendo standard “vacanzieri” perfino nei piccoli supermercati di zona. Quindi, mentre si allontanavano ospedali e università ed in quegli immobili si realizzavano musei ed infopoint, in città si raggiungeva la media di 17 strutture ricettive (ufficiali) e ben 217 esercizi di ristorazione per km2.

Le famiglie che vivevano in affitto sono state cacciate per fare spazio ai turisti, mentre quelle che vivevano in case di proprietà, vedendosi private di tutto il tessuto che le legava al rione, hanno preferito trasferirsi in periferia o in qualche borgo più tranquillo, affidando la gestione dell’immobile ad una qualche agenzia immobiliare che l’avrebbe trasformato in un Airbnb, portando Firenze al triste record di città con la più alta concentrazione di annunci nel centro storico – il 18% degli immobili totali, nonché il 70% di quelli offerti in locazione.

Forte anche dello strumento amministrativo della Città Metropolitana, il governo locale ha messo in opera una pesante zonizzazione della città trasformando luoghi dotati di identità e carattere unici in zone omogenee ed indifferenti ai bisogni del cittadino. La definizione delle aree destinate al divertimento, alla produzione e al consumo, ha relegato gli abitanti nelle periferie, al di fuori dei circuiti più profittevoli per i capitali internazionali e sempre più lontane dal centro cittadino.

Il centro storico, in particolare, è il luogo dove questo modello si è espresso nel modo più completo ed evidente. Qui i capitali finanziari in cerca di investimenti anticiclici si accaparrano la gestione dei flussi turistici e trasformano le strade e le piazze della città antica in un enorme albergo diffuso o parco a tema, in cui i visitatori si trasformano in clienti/spettatori e i cittadini in dipendenti/comparse.

La monocultura di alberghi, ristoranti, locali e monumenti museificati, con tutto il carico di inquinamento acustico, ambientale e visivo che si portano dietro, va inquadrato in un approccio estrattivista alla gestione della città, per il quale, in vista di mirabili guadagni, il territorio e chi lo abita subiscono danni ingenti. Per essere chiari, il modello introdotto ricalca la gestione di una miniera o un pozzo petrolifero, in cui l’ambiente viene deturpato ed i lavoratori sfruttati ed umiliati.

Si pensi semplicemente al lavoro portato dal turismo grazie al quale intere fasce di popolazione, in prevalenza migranti e giovani, sono impiegate in mansioni di scarso interesse culturale ed ambientale e messi al servizio dei loro aguzzini: pensiamo a uomini e donne, camerieri, lavapiatti e collaboratori domestici che lavorano, come dicono i fiorentini, al grigio, sebbene spesso sia il nero il colore prevalente.

Ebbene, in questo ecosistema estremamente specializzato, è stato sufficiente un microscopico virus per innescare una profonda crisi, che già a gennaio ha inferto duri colpi all’economia cittadina – si consideri che solo il turismo proveniente dalla Cina frutta ogni mese 3,5 milioni di euro.

Adesso con il precipitare degli arrivi sotto lo zero (i bus turistici sono calati da 267 a 5 al giorno) intere vie si ritrovano con le saracinesche abbassate e nessuno in strada. La stessa via Calzaiuoli, normalmente gremita da folle armate di selfie-stick e shopping bag, viene attraversata solo da palle di sterpi rotolanti in un mezzo giorno tutt’altro che infuocato.

I ristoratori, riuniti nel gruppo fb “Ristoratori Toscani” (più di 4000 membri), hanno ottenuto – a poche ore dalla loro richiesta – l’obbligo di chiudere le attività, ma continuano a non sapere se gli sarà garantita la cassa integrazione (costringendo quindi i lavoratori a esaurire le loro ferie in quarantena).

I pochi esercizi che possono permetterselo continuano a svolgere servizio di consegna a domicilio, incoraggiati dalle piattaforme del food delivery, ansiose di lucrare sulla pelle dei rider, costretti a continuare a lavorare senza che gli vengano forniti nemmeno i necessari Dispositivi di Protezione Individuale. 

Gli alberghi registrano un calo di occupazione del 55%, rispetto alla media di riferimento per il periodo e molte strutture chiudono per minimizzare i danni, o meglio il disastro, visto che si parla di già di più di 120 milioni persi nel settore.

Viene quindi da chiedersi se la “classe politica e dirigente” stia prendendo atto della debolezza di un sistema che si regge unicamente su un pilastro e stia mettendo in dubbio l’impianto dell’economia fiorentina e toscana.

Nonostante i colpi dei dazi di Trump, della Brexit, nonostante Luca Tonini (presidente Cna città di Firenze e presidente nazionale Cna Turismo e Commercio) paventi “una nuova grande crisi economico-finanziaria” del sistema toscano causata dal coronavirus, i politici continuano a procedere col paraocchi.

Dopo le ridicole iniziative della Regione Toscana per promuovere il turismo con una guida al virus e la penosa manifestazione delle guide turistiche davanti a Palazzo Vecchio nei primi giorni del contagio; nel convegno del 2 marzo promosso da Regione Toscana, Anci e Toscana Promozione emergono chiaramente gli interessi che ci governano: sotto l’hashtag #TuscanyTogheter si riuniscono i Comuni toscani per elaborare una strategia di rilancio dell’economia turistica, una cabina di regia a cui partecipano anche i privati del settore, secondo il principio di governance territoriale ormai intrinseco all’amministrazione pubblica. 

“Ripeto, dare continuità a questo percorso, con politiche regionali e locali coerenti, e con risorse strutturali diventa un passaggio decisivo. Il turismo rappresenta per la Toscana il vero modo per redistribuire la ricchezza, per ridare fiato a tante realtà.” tuona l’assessore regionale al turismo Stefano Ciuoffo.

Al momento non sono previsti cambi di rotta.

Come al solito, deve spettare alla base, ai cittadini e cittadine che sono i più colpiti da questa situazione, lanciare un messaggio forte in senso diametralmente opposto. Così gli abitanti dei quartieri si adoperano per sostenere le persone che in questo momento si trovano in maggiore difficoltà. Proprio le reti sociali minate dalla gestione privatistica, quelle che non si reggono su interessi economici, ma sulla solidarietà umana, sono quelle che si riattivano per non lasciare indietro nessuno. Nascono chat in cui ci si organizza per consegnare la spesa agli anziani, vengono cucite mascherine artigianali per i senza fissa dimora e si organizzano scioperi per dare voce agli operai costretti a continuare la produzione.

Comunque la si rigiri, il COVID-19 è l’ennesimo campanello d’allarme che il nostro pianeta lancia per far capire – più e meglio di Greta – che i giorni dell’estrattivismo ambientale ed economico sfrenato devono finire.

La pandemia che siamo vivendo è una conseguenza delle politiche che sono state messe in atto fino ad ora a livello globale: non possiamo e non dobbiamo ripartire per la stessa strada.

E’ invece necessario iniziare un ripensamento profondo di tutta l’organizzazione socio-politico-economica, che vada verso una totale conversione ecologica e sociale della nostra società.

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[20/3/2020] DALLA PARTE DELLA POPOLAZIONE CHE CHIEDE AIUTO

Da quando Firenze, come il resto d’Italia, è diventata zona rossa e sono entrate in vigore le misure di sicurezza che invitano a non uscire se non estremamente necessario, ci siamo attivati in sostegno delle fasce di popolazione più a rischio. Consci della estrema pericolosità del virus per le persone anziane e già malate e per le tante persone sole, ci siamo organizzati per far sì che queste potessero evitare di uscire di casa.
Abbiamo avviato un sistema per fornire loro la spesa a domicilio, gratuitamente (non solo alimentare, ma anche altri generi di necessità quali medicine, posta, ecc.). Lo abbiamo fatto d’istinto e senza interessi, autorganizzandoci per amor di popolo attraverso reti di vicinato e di quartiere. Le stesse reti che quotidianamente, a prescindere dal virus, abbiamo alimentato e promosso.
Quanto segue è successo nel quartiere di San Frediano.
Ci siamo incontrati telematicamente, informati sulle misure di sicurezza, autocostruendo mascherine, facendo salti mortali per procurarci disinfettanti e guanti, e chi pensavamo dovesse tutelarci (il Comune e le istituzioni in generale) non ha dato il minimo aiuto: non stava pensando ai soggetti più deboli e neanche ci stava fornendo informazioni e materiali.
Questa organizzazione ha aiutato dagli anziani ai malati e ai senzatetto, attivando le mamme per la cucitura di mascherine, coraggiosi giovani e meno giovani armati di guanti e disinfettanti, decine di “squillanti” gruppi WhatsApp in un virtuoso circolo di solidarietà umana e comunitaria.
Successivamente il Comune, che fino ad allora era stato assente su tutti i piani, assieme ai Coordinamenti territoriali della Misericordia, della Croce Rossa Italiana e dell’Anpas coordinati dall’associazione Esculapio ha attivato un servizio di call center. Un servizio che, sin dal tardivo giorno della sua attivazione, non è riuscito a evadere tutte le richieste e si è dovuto di fatto appoggiare alle nostre reti. Di certo non ci siamo tirati indietro e non lo faremo oggi perchè la nostra finalità non sarà mai quella di negare un aiuto alle persone che lo richiedono.
Il comune, però, ha rivelato ancora una volte le sue contraddizioni e la sua ipocrisia. Non potendo rifiutare le richieste che gli arrivano, le delega alle nostre reti, senza riconoscere la nostra legittimità e senza metterci in sicurezza o agevolarci (ad esempio fornendo mascherine, materiali disinfettanti, possibilità di saltare le code, ecc.).
Questo da parte di un’istituzione è un comportamento irresponsabile che mette a rischio le persone (noi, in primis, e chi aiutiamo di conseguenza). Tutto per prendersi il merito politico, potendo far vanto pubblicamente di “dare un ulteriore sostegno alle persone più fragili e contrastare il diffondersi del Coronavirus, limitando il più possibile le uscite di casa.”.
Abbiamo provato a metterci in contatto con il Comune per garantire il riconoscimento delle tante associazioni che si sono attivate, i materiali e le agevolazioni di supporto necessari ma, salvo qualche qualche strizzata d’occhio e qualche sorrisone, non abbiamo ottenuto risposta.
Il Comune ha preferito non mettere davanti agli occhi di tutt* le proprie inefficienze e mancanze, ignorare la situazione e la possibile soluzione trovata nelle nostre reti a dispetto delle persone e delle loro situazioni di difficoltà.
Oggi e fino alla fine dell’emergenza, saremo nelle strade senza negare l’aiuto a nessun*, evadendo anche le tante richieste che ci arrivano sottobanco dal call center del Comune perché, diversamente da loro, mettiamo davanti le vite umane ai giochi di potere.
Occupazione Via del leone
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[18/3/2020] In ricordo di Vakhtang Enukidze

Oggi, oltre Orso, vogliamo ricordare anche Vakhtang Enukidze, a due mesi dalla sua morte nel CPR di Gradisca.
Vakhtang è stato ammazzato il 18 gennaio 2020, morto dopo essere stato ripetutamente pestato dalle guardie, dopo aver chiesto aiuto «con la bava alla bocca» per più di un giorno, senza essere soccorso.
Vakhtang aveva 38 anni ed era in attesa di essere deportato in Georgia. È stato ammazzato a solo un mese dalla ri-apertura del CPR di Gradisca. Noi non dimentichiamo! Chiediamo giustizia per la sua morte e la chiusura di tutti i CPR.
I CPR sono luoghi di morte, lo sono sempre, ogni giorno, anche quando nessuno muore. Sono lager di Stato che rinchiudono persone che non hanno commesso alcun reato, “colpevoli” di non avere un pezzo di carta. Sono luoghi in cui la violenza è all’ordine del giorno, dove le persone vengono trattate al pari di animali, solo perché non sono nate in questo Paese. Sono luoghi dove le persone arrivano a tagliarsi, a ingoiare lamette, a ferirsi in ogni modo pur di non restare rinchiusi lì, arrivando fino a supplicare di essere rimpatriati.
È quello che è successo la scorsa settimana sempre nel CPR di Gradisca: a causa dell’esplosione dell’emergenza Coronavirus un giovane ragazzo marocchino si è tagliato tutto il corpo, chiedendo di essere rilasciato o deportato piuttosto che trattenuto nel Cpr; il giudice, invece, ha stabilito per lui un ulteriore mese di permanenza.
In questo momento i reclusi hanno paura del Coronavirus. Raccontano di condizioni igieniche pessime: le stanze semi-fatiscenti non sono riscaldate; le lenzuola non vengono mai cambiate; un’impresa di pulizia viene a ritirare la spazzatura circa ogni due settimane, ma le pulizie non vengono fatte se non dai reclusi. Nella situazione emergenziale che si sta vivendo in questo momento, a quanto ci raccontano, nel CPR di Gradisca, stanno continuando a entrare persone nuove senza che a nessuno sia stato fatto un tampone o alcun esame.
A fronte del dichiarato stato di pandemia l’unica soluzione è quella di pretendere la chiusura di questa prigione etnica. Il garante nazionale ha chiesto alla Ministra dell’Interno la cessazione anticipata del trattenimento in Cpr di coloro che, non potendo essere rimpatriati perché i loro Paesi d’origine hanno bloccato i voli in arrivo dall’Italia, sono “illecitamente trattenuti” ai sensi della stessa Direttiva rimpatri del 2008.
Oggi più che mai chiediamo che questi lager di Stato vengano chiusi. Per Vakhtang, e per tutti coloro che sono rinchiusi nei CPR.
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